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Partiti gli Australian Open più ricchi della storia, ma cosa c’è dietro?

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È ricominciata la stagione tennistica e puntuale è scattata la settimana del primo Grande Slam dell’anno. In Australia, Federer, Djokovic e Murray sono pronti a riprendere la sfida; nel femminile la Williams e la Sharapova hanno riaperto la caccia alla numero 1 del mondo Viktoryja Azarenka. C’è un aspetto però dell’edizione appena iniziata dell’Australian Open che desta curiosità: il lato economico. L’Australian Open 2013, a prescindere da chi si innalzerà campione tra due domeniche, passerà alla storia per essere stato lo slam più pagato di sempre: il montepremi complessivo supera i 30 milioni di dollari, 4,5 milioni in più rispetto all’edizione del 2012. Gli altri slam, la passata stagione, avevano montepremi decisamente inferiori: Wimbledon 26 milioni, gli Us Open 25.5, il Roland Garros di 24.1. Per capire l’importanza e il valore di un tale aumento di montepremi bisogna però far presente che la partecipazione ai tornei da parte del tennista ha dei costi molto elevati, essendo le spese a carico del partecipante. Questo tipo di discorso, dal quale si esulano i big, è invece fatto proprio da chi non riesce a emergere oltre un certo livello, ma che comunque contribuisce a rendere realizzabili tornei di tale portata. Se si considera quindi che negli slam al prize money (il premio per i giocatori) è destinato circa il 15% dei ricavi, ecco che la pretesa che avanzano gli atleti fuori dalla top ten, di avere più soldi, non è totalmente fuori dal mondo.

Australia: lungimiranza o paura? — A salire sono soprattutto gli introiti per chi esce ai primi turni dal torneo: dai 21.600 dollari dello scorso anno ai 28.000 di quest’anno. Poi la notizia poco prima dell’inizio del torneo: 1000 dollari australiani a tutti i giocatori partecipanti, questo per ammortizzare i costi di una trasferta molto impegnativa. Ecco quindi che la battaglia dei giocatori di seconda fascia (ma soprattutto di terza e quarta) di avere più compensi è riaperta. I giocatori twittano dalla gioia  «Gli Australian Open sono sempre più lo Slam dei giocatori» dice Kevin Anderson, e ancora «Grazie mille per il contributo, Oz Open. Che gli altri Slam prendano nota« da Rajeev Ram. «Il talento dovrebbe essere pagato per primo, invece pagano tutto il resto e a noi lasciano praticamente quello che resta», tuonava poco tempo fa l’ex numero tre del mondo, e ex presidente del Players Cuoncil, Ivan Ljubicic.

Viene però spontaneo chiedersi se tutto questo è dovuto a una presa di coscienza degli organizzatori – «Vogliamo essere sicuri che gli Australian Open continuino a dare un contributo decisivo per il benessere dei tennisti professionisti», ha detto Steve Wood, di Tennis Australia – e allora in questo caso sarebbe bene che venisse chiarito se a ricevere il surplus di 1000 dollari sono anche i giocatori impegnati solo nelle qualificazioni (sono loro più di altri a vivere la problematica della differenza degli introiti) o se invece è stata la velata minaccia dei giocatori di boicottare il torneo a far smuovere la situazione. Per un motivo o per l’altro però appare chiaro che si è arrivati a un punto di rottura che caratterizzerà il futuro del mondo tennistico. Con la presa di posizione dell’organizzazione degli Australian Open anche gli organizzatori degli altri slam dovranno regolarsi di conseguenza, una diversa strada è quindi aperta.

La voce fuori dal coro — In contrasto con quanto detto e fatto a Melbourne si è mossa invece l’Atp. Impedendo agli organizzatori del master 1000 di Indian Wells di aumentare il montepremi di 800.000 dollari, da spalmare solo per gli eliminati nei primi tre turni, l’associazione, di cui fanno parte sia giocatori che organizzatori dei tornei (errore enorme concepire un organismo con all’interno figure che evidentemente lottano per obiettivi differenti), ha in qualche modo realizzato un autogol, non facendo fare al movimento una gran figura. Stessa iniziativa, esito diverso. Per l’Atp (che non organizza gli Slam, dove invece responsabile è l’ITF) l’aumento a Indian Wells avrebbe alzato la sbarra “ad un livello troppo elevato per gli altri tornei”. Contraddizioni interne a uno stesso sport. Uno stesso mondo in cui convivono multimilionari e giocatori che sono linfa vitale per il movimento, anche se non finisco sulle prime pagine di Sport Illustrated, ma che in alcuni casi faticano a pagarsi le trasferte. Dalle parole ai fatti ci vuole poi poco, ed ecco quindi i casi di gente come Josh Goodall, numero 2 di Gran Bretagna, compagno di Andy Murray nel doppio di Coppa Davis, attivo particolarmente nei Challenger e nei Futeres, che solo qualche mese fa aveva annunciato di prendere in considerazione il ritiro: «Non riesco a pagare le bollette», aveva candidamente dichiarato. La casa dei genitori ipotecata più volte, la passione per il gioco messa a dura prova da un mondo che non è ancora, e chissà se lo sarà mai, regolato alla stessa maniera. Intanto è gennaio, la stagione è ricominciata e ci sono gli Australian Open da seguire.

foto: AttribuzioneCondividi allo stesso modo Alcuni diritti riservati a MD111


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